Con un’intervista ampia e approfondita, anche Repubblica va a scandagliare il lavoro degli Ingegneri Clinici in questo periodo così critico. Lo fa con una conversazione in cui il presidente Lorenzo Leogrande parla di cosa fanno i colleghi in tempo di emergenza. Tante le domande, tra cui una che coglie il rapporto professionale tra ingegneri clinici ed altre professioni:
DOMANDA: Sappiamo che la vera carenza non sono posti letto e apparecchi, ma medici e infermieri. C’è qualcosa che voi ingegneri clinici potete fare per aiutarli?
RISPOSTA: Il loro lavoro è insostituibile, ma la tecnologia dà una mano. Possiamo ad esempio installare monitor leggibili anche da lontano. Se il paziente è isolato in una stanza, questo permette agli operatori di controllarlo senza bisogno di entrare, quindi di vestirsi con tutti i dispositivi di protezione. Possiamo poi usare strumenti per la videosorveglianza, ecografi con sonde wireless collegate a tablet. Facciamo il possibile, ma sappiamo che sono tutti adattamenti. Non ci troviamo in una condizione ideale. Pensiamo a una cosa banale come le prese elettriche. Un letto di terapia intensiva ne prevede una quantità veramente importante, un letto di degenza ordinaria no. Dobbiamo trovare una soluzione. Nelle sale operatorie solo i ventilatori più moderni possono essere usati per i malati Covid. I pazienti infettivi, poi, andrebbero tenuti in stanze con pressione negativa: quando si apre la porta l’aria deve entrare, non uscire, perché potenzialmente infetta. Invece vediamo posti di terapia intensiva che vengono ricavati anche nelle palestre. Questo è il momento di rimboccarsi le maniche.