Come sono potuti accadere tanti decessi tra gli operatori sanitari in due mesi di pandemia in presenza di piani pandemici decennali, nazionale e regionali, che prevedevano mascherine e Dpi? Ci aiutano a capire alcuni dati dalla videoconferenza che ha messo a confronto anestesisti rianimatori della società scientifica Siaarti, provveditori ed economi della Federazione Fare, farmacisti ospedalieri Sifo, ingegneri clinici di Aiic e Confindustria Dispositivi Medici.
Il 6 marzo, con Regioni ed ospedali impegnati in ordine sparso nell’affannoso approvvigionamento, la centrale d’acquisto nazionale Consip pubblicava la prima procedura centralizzata per la fornitura di dispositivi di terapia intensiva e sub-intensiva, connessi, opzionali, suddivisa in 7 lotti, valore totale di 185 milioni di euro.
Lungi dall’aggiustare le cose, la procedura centralizzata ha bloccato gare regionali ed aziendali, come spiega il Presidente Fare Salvatore Torrisi.
Tutti i produttori che erano alle prese con il frazionamento della loro offerta si sono trovati spiazzati. Ma non è tutto. «Per alcuni lotti è stata fissata consegna a 45 giorni, in pratica da inizio marzo si arriva alla terza decade di aprile, ci sono apparecchiature e dispositivi che devono ancora arrivare ma che sarebbero serviti subito», spiega Torrisi.
Altro aspetto. A prescindere dal mancato raccordo tra stato e periferia, «non abbiamo trovato in molti casi il mercato che ci soddisfacesse, i paesi e i distributori non erano pronti. Inoltre, è inadeguata anche la normativa: il nostro codice degli appalti partendo da ottime premesse si presta però ad essere infarcito da norme governative e regionali che dettagliano gli iter. Ci siamo trovati ad affrontare la pandemia con tempi di risposta minimi di ben 15 giorni, e ad attivare gare in deroga per ottenere in tempi più rapidi quanto richiesto».
Ora si profila un problema analogo per le forniture di tamponi e test sierologici. Ne accenna Fernanda Gellona (Confindustria-Dispositivi Medici), sottolineando come l’emergenza abbia mandato in tilt sia la distribuzione di presidi Covid sia la produzione di presidi non Covid. «Le mascherine in Italia le producevamo, ma la richiesta era di pagarle sempre meno, e le imprese hanno fatto le loro scelte. Sui ventilatori polmonari le multinazionali hanno dovuto rispondere alla contemporanea domanda di altri paesi. Ora arrivano le richieste di test, ma i reagenti vanno validati dalla comunità scientifica: non sono le imprese a non voler vendere, ma sono i prodotti ad essere in via di validazione. Peraltro, in alcuni casi sullo stesso prodotto si sono concentrate richieste di più attori: Consip, Regioni, ospedali e persino benefattori estemporanei. Ognuno voleva le cose per primo ed è mancato un coordinamento centro-regioni, che bisogna recuperare visto che ogni regione dice al fornitore: “devi vendere solo a me”. Per i prodotti no-Covid invece la richiesta è crollata, molti sono in difficoltà, i dipendenti in cassa integrazione e i pazienti che aspettano di essere presi in carico». Amara la considerazione di Torrisi, che ricorda gli articoli “scandalistici” dei tempi ante-epidemia in cui si confrontavano i prezzi delle siringhe tra regioni catechizzando quelle che spendevano pochi centesimi in più. «Risultato: i produttori sono andati fuori Italia a comprare i prodotti, e in molti segmenti non si trova più niente. Spendere bene in realtà è dotarsi dei prodotti migliori, e se possibile proteggere la produzione nazionale».
Nell’incontro è emerso l’impatto dell’epidemia anche su medici anestesisti, farmacisti ed ingegneri clinici. Per Lorenzo Leogrande (AIIC) lo sviluppo di best practice e di contatti interdisciplinari tra le figure citate ha portato allo sviluppo di nuove modalità di collaudo di dispositivi, letti di degenza, contatti internazionali, e alla consapevolezza che l’ingegnere clinico non è figura accentrabile ma deve stare in contatto con i problemi concreti dell’ospedale.
Simona Creazzola (Sifo) ha ricordato l’attivazione dell’osservatorio sulle carenze di medicinali, lo sviluppo di procedure per allestire preparazioni magistrali (alcune rivolte alle terapie Covid), e il varo con Sifap di linee guida sulla disinfezione delle mani e delle superfici; è auspicabile un crescente coinvolgimento delle farmacie di comunità nella fase di gestione dell’endemia.
Flavia Petrini, anestesista presidente Siaarti ha invece ricordato come già i letti di terapia intensiva prima dell’emergenza fossero pochi, in tutto 5.090, già per metà occupati, e come si siano dovute potenziare sia l’assistenza ai pazienti con insufficienza respiratoria grave sia quella ai pazienti sub-intensivi da ventilare con casco; i primi hanno avuto bisogno di miorilassanti e sedativi ottenuti dagli altri reparti con il risultato che questi farmaci adesso scarseggiano in tutti gli ospedali. «Per contro abbiamo resistito a un’ondata di pazienti ottenendo un tasso di sopravvivenza del 65% nelle terapie intensive: un dato elevato, a fronte di una situazione mai vista prima».
Fonte: Farmacista33