All’interno del 31° Congresso Sicurezza in Anestesia (promosso dai professori Giuseppe Lubrano, Antonio Corcione e Arturo Cuomo, con il coordinamento del Collegio dei Primari di Anestesia e Rianimazione della Campania) si è tenuta la tavola rotonda Fornitura di farmaci e devices: lavorare insieme per la Sicurezza, con la partecipazione di Maria Vargas (anestesista, AOU Federico II, Napoli), Antonio Lalli (farmacista ospedaliero, Ospedale Buon Consiglio-Fatebenefratelli, Napoli), Vincenzo Graziano (docente universitario di medicina legale, Napoli) e Gianluca Giaconia (Direttore IC Ospedale dei Colli, Napoli e componente del Direttivo AIIC). Nel dialogo, Giaconia ha posto alcune sottolineature: “Quando si parla di procurement di dispositivi medici ad alto contenuto di tecnologia e innovazione, c’è un iter che parte dal momento in cui si manifesta il bisogno a quello in cui il bisogno viene soddisfatto. Iter che non funziona sempre al meglio”. I motivi per i quali spesso questa catena mostra dei limiti sono racchiusi nell’intrinseca complessità del sistema salute e che Giaconia ha così sintetizzato: “Il primo elemento della catena che spesso già mette in crisi l’intero percorso è il momento in cui si raccoglie il fabbisogno. I clinici, seppur supportati dalle farmacie ospedaliere, hanno un’oggettiva difficoltà alla definizione del fabbisogno qualitativo e quantitativo, con il risultato che spesso le gare danno luogo a contratti con dispositivi mai utilizzati o a quantità molto distanti dal consumo reale. Inoltre la durata delle gare non aiuta, in quanto il fabbisogno espresso anni prima può tranquillamente essersi modificato, possono essere cambiate metodiche, raccomandazioni, linee guida, buone prassi, tecnologie, materiali…”
Una delle considerazioni “inevitabili” proposte dal componente del direttivo AIIC riguarda la specificità dei dispositivi: i farmaci per poter essere messi sul mercato debbono aver necessariamente dimostrato la loro efficacia clinica attraverso un iter robusto e collaudato di sperimentazioni, mentre questo non è vero per i dispositivi. Ha precisato Giaconia: “La certificazione come Dispositivo Medico ai sensi della vecchia Direttiva Europea è fondamentalmente una certificazione di sicurezza e non di efficacia: il dispositivo non è dannoso per il paziente, ma non è certo che serva effettivamente a qualcosa. La sperimentazione si fa quindi con l’esperienza sul campo. Inoltre le vere sperimentazioni, laddove esistenti, sono per la maggior parte volute dal fabbricante allo scopo di creare letteratura scientifica sul device. Davvero difficile trovare per molti dispositivi studi indipendenti”. Giaconia ha ricordato che il nuovo Regolamento 745/2017 prova a riscrivere le regole in questo ambito, “ma è ancora possibile, per le classi meno rischiose, immettere sul mercato dispositivi sul mercato scarsamente efficaci”.
Nel razionale del 31° Congresso SIA (che aveva Giuseppe Lubrano come presidente dell’evento e che aveva come sottotitolo “Fiera Anestesia Rianimazione Emergenza-FARE”) si legge: “La problematica della sicurezza è centrale nel lavoro dell’Anestesista. Più di quanto accade per altre discipline, una complicanza in ambito anestesiologico può costare la vita di un paziente. In passato, l’eventuale ‘problema anestesiologico’ poteva essere ascritto alla carenza di farmaci efficaci e alla tecnologia inadeguata. Oggi tecnologia e farmaci innovativi rendono il processo anestesiologico teoricamente sicuro al cento per cento. I dati, però, evidenziano nel nostro Paese ancora molti incidenti critici. Una lettura attenta dei dati relativi alle condizioni lavorative dell’Anestesista italiano rendono ragione del fatto che a fronte di quanto teoricamente la farmaceutica e l’innovazione tecnologica ci propongono la situazione, nel quotidiano, presenta carenze importanti e dal punto di vista culturale e dal punto di vista delle dotazioni delle sale operatorie”. Gianluca Giaconia ha approfondito proprio questo tema, una delle criticità più discusse all’interno del Congresso: la scarsa capacità di un decisore di capire che un device o un farmaco apparentemente più costoso possa portare benefici tali da risultare, nell’insieme, più economico per l’azienda o per il sistema salute. “In realtà la risposta a questo problema già esiste – ha chiarito Giaconia – e contiene quella famosa multidisciplinarietà che spesso sentiamo invocare. La risposta si chiama Health Technology Assessment, un approccio che dovremmo diffondere ed applicare tutti più spesso, che è l’unica arma che ci può consentire di fare scelte coraggiose, ma sostenibili, anche percorrendo direzioni innovative”. Nel complesso, come si vede, un intervento di ampio respiro e che conferma l’utilità del dialogo tra ingegneria clinica e mondo degli anestesisti (non a caso al Convegno AIIC di Milano era intervenuto il prof. Grasselli, altro nome importante dell’anestesia italiana).